TOTEM E TABU'
venerdì 12 febbraio 2021
giovedì 19 novembre 2020
venerdì 13 novembre 2020
IL FARAONE DEL NORD
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AAVV, Il meteorite iperbolico, Bologna, Pendragon, 2016 |
Preceduto
da una sorprendente prefazione di Syusy Blady, questo libro contiene la
traduzione italiana di Põhjamaine vaarao,
di Karl Kello (Tallinn, 2004).
Leggende
finlandesi sull’origine del ferro e del fuoco narrano di una sfera di fuoco
solare precipitata su Saare, isola del lago Kaleva.
Secondo l’Autore, effettivamente un enorme meteorite cade, circa quattromila anni fa, su Saaremaa, e nel cratere circolare provocato dall’impatto si formò il lago di Kaali, che
nell’immaginario
popolare divenne un pozzo senza fondo: l'ingresso dell’inferno.
Molte leggende
estoni, lettoni e finlandesi concordano nella trasmissione di eventi mitici
che provocarono la caduta del sole sulla terra. È evidente l’analogia col mito
greco della caduta di Fetonte.
Il
lago di Kaali divenne dunque un luogo sacro, circondato da un alto muro di
calcare, ma privo di tetto. Questo tipo di costruzione è generalmente
associato a culti solari.
Nelle
narrazioni nordiche l’isola è al contempo sede di divinità uraniche e ctonie: Tuur, dio delle nubi, il demone Piru, Ukko Ylijumala, dio del tuono e del raccolto, legato – quindi – sia
alla terra che al cielo, e il dio celeste Tuurem
(Taarem, Toorem).
Potrebbe essere anche il teatro d’azione di Kalevipoeg, l'eroe della mitologia estone che giunge alle porte dell’inferno, al cui centro c’è un lago circolare, spezzando i cancelli che ne proteggono l’ingresso con la mazza ferrata donatagli da un fabbro. Questa leggenda, evidentemente, affonda nell’epos metallurgico che segna il passaggio dall’età del bronzo a quella del ferro.
Una
tradizione popolare molto antica racconta che sull’isola di Kaali c’era un
piccolo regno in cui il principe reggente decise di sposare la propria sorella –
così come facevano i faraoni egizi in ossequio alla vigente matrilinearità – il
regno, allora, fu sprofondato nelle viscere della terra da un immane
cataclisma. Difficile capire se il racconto mitico alluda al definitivo trionfo
della cultura uranico-patriarcale su quella ctonio-matriarcale o se, viceversa,
accenni a un ultimo sussulto della potenza della Gran Madre, che si riprende
ciò che è suo.
Come
si è detto, la tradizione baltica a proposito della catastrofe cosmica di Kaali
richiama da vicino il mito di Fetonte. La trasmissione classica del mito fa
precipitare il figlio di Apollo nell’Eridano, generalmente identificato nel Po,
ma potrebbe anche trattarsi della Dvina Occidentale, o Daugava, la cui foce è
vicina a Saaremaa. Il fiume era infatti una delle antiche vie dell’ambra, che
da lì, attraverso il Dniepr, raggiungeva il Mar Nero. Come si sa, le lacrime
delle sorelle di Fetonte si trasformarono in ambra.
Gli Argonauti, alla ricerca del vello d’oro (dove l’oro è un evidente simbolo solare), approdarono all’isola di Circe il cui nome rinvia a circolo, forse per l’attitudine a circuire dell’infida maga, ma l’antonomasia potrebbe anche riferirsi al luogo in cui abita, ecco dunque trovato il riferimento al nostro lago circolare. Anche Ulisse, seguendo la stessa rotta approderà a quel lido, nel corso delle lunghe peregrinazioni che Felice Vinci (coautore del nostro libro) colloca proprio nel Baltico. Nella prospettiva qui delineata – che fa riferimento alla saga del fabbro primordiale Ilmarinen narrata nel Kalevala – del ferro figlio del fuoco, cioè del meteorite di metallo incandescente da cui si dipanano i saperi iniziatici dei primi metallurgici, i viaggi di Ulisse vanno interpretati come spedizioni alla ricerca del ferro, con cui si forgiano le nuove armi dell’Odissea, in luogo di quelle bronzee dell’Iliade.
Anche
l’Apollo Iperboreo troverebbe
collocazione sull’isola, Diodoro Siculo parla, infatti di un tempio rotondo
posto su un isola, che ci rimanda al lago circolare, circondato da mura, di
Kaali. Anche in questo caso si adombra il passaggio dai culti ctoni a quelli
uranici, precedentemente ad Apollo, infatti, il santuario di Pito era legato al culto
della Dea Madre [e il racconto di Eschilo su Apollo che riceve il santuario da
Gea, Febe e Temi tenderebbe a confermarlo], e agli Inferi i torna con l’Apocalisse di Giovanni che racconta
di una gran stella che, precipitando sulla terra, aprì un pozzo sull’abisso in
cui regnava il diavolo Abaddon
(Apollyon).
Ci si sposta, invece, diametralmente a sud con la leggenda della figlia del faraone, identificata nella santa Katariina venerata nella chiesa di Karja. Enrico di Livonia, nel suo Chronicon racconta di un faraone invasore annegato a Saaremaa nel 1227. Nella rielaborazione popolare, i suoi guerrieri si sarebbero tramutati in foche, da cui il diffuso interdetto, in Lettonia, di cibarsi della carne di questi animali.
A
testimoniare una complessa sovrapposizione culturale, sulla volta della chiesa
di Karja restano molti simboli pagani [ma c’è affinità con le nostre grottesche dei manoscritti medievali]
tra i quali, la triskele con gamba
spezzata.
Transitato in epoca cristiana, l’autore torna indietro nel tempo e nello spazio, volgendosi nuovamente a nord e collegando Saaremaa ai Vichinghi, ai re Sassoni e a quelli Danesi, sottolineando le somiglianze con luoghi descritti nel Beowulf.
Attraversando
un intrigo di leggende che illuminano su lotte e commistioni tra cristianesimo
e preesistenti culti pagani, il libro termina con l’esecuzione di Volle, ultimo re di Saaremaa (1344) e l’avvento
del dominio dell’Ordine Teutonico.
Seguono
due contributi di Felice Vinci e di Gianni Glinni.
Nel
complesso, il testo di Karl Kello è opera di grande erudizione, ma dallo
svolgimento logico e narrativo non sempre lineare. Sulla questione del
nomadismo dei miti andrà tirata qualche conclusione dopo le prossime letture.