venerdì 13 novembre 2020

IL FARAONE DEL NORD

 

AAVV, Il meteorite iperbolico, Bologna, Pendragon, 2016


Preceduto da una sorprendente prefazione di Syusy Blady, questo libro contiene la traduzione italiana di Põhjamaine vaarao, di Karl Kello (Tallinn, 2004).

Leggende finlandesi sull’origine del ferro e del fuoco narrano di una sfera di fuoco solare precipitata su Saare, isola del lago Kaleva.

Secondo l’Autore, effettivamente un enorme meteorite cade, circa quattromila anni fa, su Saaremaa, e nel cratere circolare provocato dall’impatto si formò il lago di Kaali, che  

nell’immaginario popolare divenne un pozzo senza fondo: l'ingresso dell’inferno.

Molte leggende estoni, lettoni e finlandesi concordano nella trasmissione di eventi mitici che provocarono la caduta del sole sulla terra. È evidente l’analogia col mito greco della caduta di Fetonte.

Il lago di Kaali divenne dunque un luogo sacro, circondato da un alto muro di calcare, ma privo di tetto. Questo tipo di costruzione è generalmente associato a culti solari.

Nelle narrazioni nordiche l’isola è al contempo sede di divinità uraniche e ctonie: Tuur, dio delle nubi, il demone Piru, Ukko Ylijumala, dio del tuono e del raccolto, legato – quindi – sia alla terra che al cielo, e il dio celeste Tuurem (Taarem, Toorem).

Potrebbe essere anche il teatro d’azione di Kalevipoeg, l'eroe della mitologia estone che giunge alle porte dell’inferno, al cui centro c’è un lago circolare, spezzando i cancelli che ne proteggono l’ingresso con la mazza ferrata donatagli da un fabbro. Questa leggenda, evidentemente, affonda nell’epos metallurgico che segna il passaggio dall’età del bronzo a quella del ferro.

Una tradizione popolare molto antica racconta che sull’isola di Kaali c’era un piccolo regno in cui il principe reggente decise di sposare la propria sorella – così come facevano i faraoni egizi in ossequio alla vigente matrilinearità – il regno, allora, fu sprofondato nelle viscere della terra da un immane cataclisma. Difficile capire se il racconto mitico alluda al definitivo trionfo della cultura uranico-patriarcale su quella ctonio-matriarcale o se, viceversa, accenni a un ultimo sussulto della potenza della Gran Madre, che si riprende ciò che è suo. A riprova della resistenza, nel simbolico, delle narrazioni ctonie e matriarcali sulla mitologia solare dell’ incombente patriarcato, un’antica leggenda finnica narra che le streghe di Viro nascosero il sole nelle montagne dell’inferno dell’isola di Saaremaa. È naturale che l’alternanza di luce e buio, a ridosso del circolo polare, fecondasse la varietà di spiegazioni cosmogoniche. In alcune di queste si affacciano timori, riferibili a sconvolgimenti tellurici e/o a eventi cosmici, ancor più regressivi, ovvero la paura di un apocalittico ritorno al Caos primigenio. 

Come si è detto, la tradizione baltica a proposito della catastrofe cosmica di Kaali richiama da vicino il mito di Fetonte. La trasmissione classica del mito fa precipitare il figlio di Apollo nell’Eridano, generalmente identificato nel Po, ma potrebbe anche trattarsi della Dvina Occidentale, o Daugava, la cui foce è vicina a Saaremaa. Il fiume era infatti una delle antiche vie dell’ambra, che da lì, attraverso il Dniepr, raggiungeva il Mar Nero. Come si sa, le lacrime delle sorelle di Fetonte si trasformarono in ambra.

Gli Argonauti, alla ricerca del vello d’oro (dove l’oro è un evidente simbolo solare), approdarono all’isola di Circe il cui nome rinvia a circolo, forse per l’attitudine a circuire dell’infida maga, ma l’antonomasia potrebbe anche riferirsi al luogo in cui abita, ecco dunque trovato il riferimento al nostro lago circolare. Anche Ulisse, seguendo la stessa rotta approderà a quel lido, nel corso delle lunghe peregrinazioni che Felice Vinci (coautore del nostro libro) colloca proprio nel Baltico. Nella prospettiva qui delineata – che fa riferimento alla saga del fabbro primordiale Ilmarinen narrata nel Kalevala – del ferro figlio del fuoco, cioè del meteorite di metallo incandescente da cui si dipanano i saperi iniziatici dei primi metallurgici, i viaggi di Ulisse vanno interpretati come spedizioni alla ricerca del ferro, con cui si forgiano le nuove armi dell’Odissea, in luogo di quelle bronzee dell’Iliade

Anche l’Apollo Iperboreo troverebbe collocazione sull’isola, Diodoro Siculo parla, infatti di un tempio rotondo posto su un isola, che ci rimanda al lago circolare, circondato da mura, di Kaali. Anche in questo caso si adombra il passaggio dai culti ctoni a quelli uranici, precedentemente ad Apollo, infatti, il santuario di Pito era legato al culto della Dea Madre [e il racconto di Eschilo su Apollo che riceve il santuario da Gea, Febe e Temi tenderebbe a confermarlo], e agli Inferi i torna con l’Apocalisse di Giovanni che racconta di una gran stella che, precipitando sulla terra, aprì un pozzo sull’abisso in cui regnava il diavolo Abaddon (Apollyon). 

Non possono mancare collegamenti alla leggenda, territorialmente più prossima, di Sigfrido, allevato da un fabbro e fabbro egli stesso, e alla caliginosa terra dei Nibelunghi. Le prove che l’eroe compie come pretendente di Brunilde sono tutte connesse al ferro incandescente. La connessione dei miti sembra confermata dall’analogia di connubi (Sigfrido/Brunilde, Giasone/Medea, Ulisse/Circe) tra la terra e il cielo, in cui spesso è presente l’oro, come simbolo solare

 Ci si sposta, invece, diametralmente a sud con la leggenda della figlia del faraone, identificata nella santa Katariina venerata nella chiesa di Karja. Enrico di Livonia, nel suo Chronicon racconta di un faraone invasore annegato a Saaremaa nel 1227. Nella rielaborazione popolare, i suoi guerrieri si sarebbero tramutati in foche, da cui il diffuso interdetto, in Lettonia, di cibarsi della carne di questi animali.

A testimoniare una complessa sovrapposizione culturale, sulla volta della chiesa di Karja restano molti simboli pagani [ma c’è affinità con le nostre grottesche dei manoscritti medievali] tra i quali, la triskele con gamba spezzata.

Transitato in epoca cristiana, l’autore torna indietro nel tempo e nello spazio, volgendosi nuovamente a nord e collegando Saaremaa ai Vichinghi, ai re Sassoni e a quelli Danesi, sottolineando le somiglianze con luoghi descritti nel Beowulf.

Attraversando un intrigo di leggende che illuminano su lotte e commistioni tra cristianesimo e preesistenti culti pagani, il libro termina con l’esecuzione di Volle, ultimo re di Saaremaa (1344) e l’avvento del dominio dell’Ordine Teutonico.

Seguono due contributi di Felice Vinci e di Gianni Glinni.

Nel complesso, il testo di Karl Kello è opera di grande erudizione, ma dallo svolgimento logico e narrativo non sempre lineare. Sulla questione del nomadismo dei miti andrà tirata qualche conclusione dopo le prossime letture.






domenica 8 novembre 2020

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